L’impegno istituzionale per un potenziamento delle reti antiviolenza dovrebbe farsi più concreto a partire da questa Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.
L’impegno istituzionale per un potenziamento delle reti antiviolenza dovrebbe farsi più concreto e meno retorico, in questo 25 novembre di un’Italia in semi-lockdown dove, dall’inizio dell’emergenza Covid-19, non sono certo migliorati né la risposta nella presa in carico della violenza né il coordinamento delle reti territoriali.
Le donne continuano a vivere un appesantimento generale della propria condizione: presenti nei settori economici più in crisi, come il turismo e il lavoro di cura, e più esposte nelle situazioni di violenza a causa dell’aumento dei fattori di rischio, dall’abuso di alcol e droghe, al precariato del lavoro, alla cassa integrazione, tutti fattori che fanno aumentare le tensioni tra le mura di casa.
E allora, cosa fare per non rendere questa Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne una ricorrenza di maniera? Bisognerebbe fermarsi e realizzare un lavoro di confronto serio su cosa manca per affrontare il problema della violenza maschile contro le donne. Va ripensato tutto; non più sugli schemi del pre-lockdown, perché le sfide saranno comunque maggiori e i vuoti istituzionali e della società civile sono stati evidenti.
Ben 96 donne su 100 cercano reti territoriali come forze dell’ordine, Pronto Soccorso, Servizi Sociali, avvocati di riferimento, ma non sempre trovano risposte adeguate e persone competenti perché mancano politiche integrate. Non ci può essere un solo soggetto che si fa carico del problema, devono essere più di uno. Servono tavoli coordinati dove si incontra chi è sul territorio, dove tutti sappiano come si prende in carico una donna e come si procede per farle superare la violenza. Perché tutte le donne in Italia devono avere il diritto di uscirne, non solo chi ha un centro antiviolenza vicino o la fortuna di avere una rete personale efficace.