Un lungo percorso verso la vera parità e uguali diritti
L’India ha una lunga storia di attivismo per i diritti umani e in particolare per i diritti delle donne, le cui origini possono essere fatte risalire all’inizio del secolo scorso, prima e con Gandhi. L’attivismo del Mahatma puntava a liberare l’India non solo politicamente ma anche socialmente, da ogni forma di emarginazione. Oltre a sostenere la non violenza e la riconciliazione, Gandhi lottava per l’abolizione delle caste e il rispetto dei diritti dei dalit (gli intoccabili) e al tempo stesso per la valorizzazione della donna e la parificazione tra i due sessi.
Convinto che la forza della società derivava dall’ampiezza di libertà di cui godono le donne, Gandhi è stato il primo leader moderno a portare un consistente numero di donne nell’attività politica e, riconoscendo l’importanza del loro ruolo per il benessere della società, promosse la loro istruzione e cercò di creare le condizioni affinché le donne potessero partecipare con pari opportunità alla vita politica ed economica e godessero di un’indipendenza economica rispetto agli uomini.
Facendo tesoro dei principi divulgati da Gandhi, dall’anno in cui l’India ha raggiunto l’indipendenza (1947) ad oggi notevoli progressi sono stati fatti nel percorso di riconoscimento delle pari opportunità, a partire dalla stessa costituzione indiana. La costituzione indiana non solo garantisce l’uguaglianza per donne e uomini, ma conferisce allo Stato il potere di adottare misure di “discriminazione positiva” a favore delle donne.
Nel 1993 l’India ha ratificato la CEDAW, la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, vincolandosi così a una serie di impegni e azioni per garantire e proteggere i diritti delle donne e ottenere la piena uguaglianza tra uomini e donne.
Sebbene quindi negli ultimi decenni in ambito legislativo e istituzionale si siano registrati notevoli progressi a favore delle donne, la realizzazione degli impegni e degli obiettivi prefissati si scontra ancora con tradizioni ataviche criminali che impediscono di colmare il divario esistente tra gli obiettivi preposti da un lato e la situazione reale delle donne indiane dall’altro. Il problema della discriminazione e della violenza sulle donne in India resta tuttora un problema di cruciale importanza, come testimoniano anche i dati sottostanti del 2007:
• Un crimine contro una donna ogni 3 minuti
• Uno stupro ogni 29 minuti
• Una morte per dote ogni 77 minuti
• Un caso di violenza domestica ogni 9 minuti
Nella cultura tradizionale indiana la donna è considerata un essere sottomesso all’uomo, che non ha diritto a godere di una propria indipendenza, pertanto vive prima sotto il controllo del padre, poi viene data in sposa quindi passa sotto quello del marito. Le vecchie istituzioni come le caste, la famiglia patriarcale e le antiche usanze sfavorevoli alle donne legittimano ogni tipo di sopruso e discriminazione e determinano ancora oggi un elevato numero di crimini contro le donne.
Di conseguenza la nascita di una figlia femmina è vista spesso come una grande sfortuna nonché un fardello di cui liberarsi e, in virtù di ciò, sin da bambine si viene sempre discriminate rispetto ai fratelli maschi nell’accesso alle risorse all’interno del nucleo domestico: ricevere meno cibo e di qualità inferiore, usufruire delle cure mediche più raramente, accedere ad una istruzione inferiore e meno attenzioni in generale, non avere garantito il passaggio di proprietà.
Da adulte la paura di subire umiliazioni e/o violenze, nonché il giudizio sociale, sono la causa principale della scarsa partecipazione delle donne alle attività dentro e fuori le mura domestiche. Infatti sono alti gli abusi che iniziano dalla famiglia di origine e terminano nella famiglia dello sposo, con il mancato riconoscimento della loro intelligenza o capacità di fare, per finire da violenze psicologiche a quelle fisiche, che influenzano inevitabilmente a volte per sempre le loro attitudini ad essere nella società, le loro aspettative e la fiducia in se stesse.